Onorevoli Colleghi! - La discussione del disegno di legge comunitaria per il 2007 interviene in un momento che costituisce un vero e proprio punto di svolta, a tre anni circa dall'entrata in vigore della legge 4 febbraio 2005, n. 11. L'attuale fase di prolungata transizione dell'assetto istituzionale dell'Unione europea determina la necessità di una valutazione compiuta dell'efficacia e della funzionalità dei meccanismi di trasposizione delle normative comunitarie nell'ordinamento nazionale. È dunque necessario avviare, nelle idonee sedi parlamentari, una riflessione sull'attuazione della legge n. 11 e sulla qualità, oltre che sulla tempestività, dei meccanismi nazionali di recepimento. Su questo punto, si è registrata una larga convergenza di tutte le forze politiche.
      Con la firma a Lisbona del Trattato di riforma si aprono poi nuovi scenari sia per il funzionamento complessivo delle istituzioni comunitarie sia per il loro rapporto con le istituzioni nazionali, a partire dai Parlamenti, anche con riguardo alla tutela dei diritti connessa al conferimento di efficacia giuridica vincolante alla Carta dei diritti.
      Questa linea di sviluppo - che interessa nel complesso le attività della XIV Commissione Politiche dell'Unione europea - potrà delinearsi con progressiva chiarezza nel corso del tempo.
      La XIV Commissione ha infatti avviato un'indagine conoscitiva proprio al fine di effettuare una ricognizione dei rapporti tra l'ordinamento nazionale e quello comunitario, dopo l'entrata in vigore della legge n. 11 del 2005, e di valutare l'opportunità di eventuali modificazioni ed adeguamenti relativi alla legislazione vigente ed ai regolamenti parlamentari.
      La stessa Commissione ha inoltre intenzione di procedere ad una diversa organizzazione dei propri lavori e della propria articolazione interna, anche con la costituzione di Comitati permanenti, in maniera da potere seguire in modo più sistematico e puntuale sia la fase ascendente nel suo complesso sia le principali tematiche di interesse comunitario.
      La legge n. 11 interessa una vasta area di rapporti tra l'ordinamento nazionale e quello comunitario: la fase ascendente come la fase discendente, i vari livelli di governo statale, regionale e locale, i rapporti con la società civile, la stessa forma di governo.
      In questo quadro, l'esame del disegno di legge comunitaria annuale costituisce un momento particolarmente qualificante per porre in essere in concreto e con efficacia l'attuazione del diritto comunitario, in ottemperanza ai «vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario», per utilizzare l'espressione contenuta nell'articolo 117, primo comma, della Costituzione.
      Merita poi ricordare che la stessa attuazione del diritto comunitario potrà risultare ancor più agevole ed efficace qualora ad essa corrisponda un adeguato esame in fase ascendente. E d'altro canto, proprio la fase ascendente rappresenta uno dei cardini per qualificare il ruolo dei Parlamenti nazionali nell'ordinamento comunitario, così come previsto anche dai testi di riforma dei Trattati dell'Unione europea.
      Il disegno di legge annuale con cui il Parlamento recepisce la normativa nazionale evoca in primo luogo un elemento non positivo

 

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connesso: i procedimenti di infrazione aperti nei confronti dell'Italia. Sulla base delle informazioni fornite dal Governo, al 5 novembre 2007 risultano ufficialmente aperte nei confronti del nostro Paese complessivamente 223 procedure di infrazione: 168 riguardano casi di violazione del diritto comunitario, 55 la mancata attuazione di direttive nell'ordinamento italiano.
      Nel maggio del 2006, le procedure a carico dell'Italia erano 275 (206 per violazione del diritto comunitario e 69 per mancato recepimento). In particolare, è da sottolineare la diminuzione del numero di procedure per violazione del diritto comunitario. Il risultato positivo viene confermato anche dall'Internal Market Scoreboard (pubblicato dalla Commissione nel gennaio 2007), anche con riguardo alle procedure per mancato recepimento di direttive. Il tasso di direttive non recepite da parte dell'Italia è infatti diminuito dal 3,8 per cento al 2,2 per cento: è il risultato più consistente tra tutti gli Stati Membri.
      Più in generale, per quanto riguarda la legge n. 11, dopo una prima fase di rodaggio, appaiono chiari i meriti, ma anche i limiti, del quadro normativo per trasporre in ambito nazionale i principi normativi sovranazionali. In questo scorcio di legislatura si è infatti iniziato a cogliere alcune inadeguatezze della «via italiana» all'integrazione comunitaria, le questioni legate al coordinamento tra i diversi livelli di governo, il permanere di un pur sempre elevato contenzioso a nostro carico, il funzionamento di un meccanismo di trasposizione che ha proprio nella legge comunitaria il suo fulcro essenziale.
      Occorre richiamare, a tal fine, la stessa tempistica della sua approvazione parlamentare, che appare ancora incerta (come dimostra l'iter del disegno di legge di quest'anno) e tuttora collegata, in modo non del tutto razionale, all'esame della Relazione sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea, che dovrebbe invece essere effettuato autonomamente all'inizio di ogni anno, così come suggerisce la stessa Relazione del Governo per il 2006, per consentire l'approvazione tempestiva di indirizzi parlamentari finalizzati alla definizione della posizione italiana di fronte alla Presidenza di turno - o alle presidenze in corso d'anno - del Consiglio dell'Unione europea.
      Occorre poi valutare con attenzione l'opportunità di introdurre una sessione comunitaria che assicuri tempi certi per l'esame delle disposizioni di recepimento delle norme comunitarie.
      Si tratta di nodi problematici che rinviano da un lato alla contrastata accettazione dei princìpi di funzionamento di un ordinamento sovranazionale da parte della cultura giuridica e politica nazionale, per molti aspetti legata, per lunghi decenni, ad una visione troppo formale della sovranità e, dall'altro, alla natura stessa del fenomeno dell'integrazione giuridica comunitaria, che pone in discussione le stesse distinzioni ed i legami fra interno ed esterno all'ordinamento giuridico statale.
      Un analogo disagio è del resto comune ad altri Paesi protagonisti del disegno comunitario: si pensi, ad esempio, al recente dibattito, avviato in Francia dalla Fondazione Schuman, sulla crisi del sistema francese delle «affaires européennes» e sulle insufficienze dei meccanismi di controllo offerti dal parlamentarismo iper-razionalizzato d'Oltralpe di fronte al moltiplicarsi - ed al sovrapporsi - delle politiche comunitarie di settore, spesso segnate da marcate divisioni compartimentali.
      La legge comunitaria annuale resta ancora lo strumento normativo privilegiato per il recepimento della normativa comunitaria nell'ordinamento interno e per la modifica di norme nazionali contrarie agli obblighi e alla disciplina europea. La sua introduzione ha infatti consentito di arrivare ad un tasso di recepimento delle direttive che quest'anno è pari al 98,44 per cento (nel 1990, all'indomani dell'approvazione della legge La Pergola, la percentuale era dell'80 per cento). Nonostante questo incoraggiante risultato, l'Italia si colloca tra gli ultimi posti nella graduatoria dei 27 Stati membri (al ventitreesimo posto, prima di Grecia, Lussemburgo, Portogallo e Romania), in base all'ultimo scoreboard fornito dalla Commissione europea. Un ulteriore elemento di riflessione attiene al contenzioso con le istituzioni comunitarie. Il Governo,
 

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oltre ai dati già richiamati, fornisce altresì la classificazione per settori delle procedure: il maggior numero di procedure riguarda la materia ambientale (64 procedure), seguita dal settore economia e finanze (41), dal settore sviluppo economico (21) e dal settore affari interni (18).
      Per quanto riguarda il solo mercato interno, sulla base dei dati della Commissione europea risulta che l'Italia, alla data del 1o ottobre 2006, con 153 procedure, rimane il paese con il maggior numero di procedure di infrazione. Un altro elemento di riflessione attiene allo stato di attuazione delle direttive comunitarie nell'ordinamento italiano. Per quanto il disegno di legge comunitaria 2007 sia volto a recepire un numero elevato di direttive (16, con gli allegati A e B), cui occorre aggiungerne 40 da attuare in via amministrativa, ne risultano 22 scadute ovvero in scadenza entro il 2007, che non risultano inserite negli allegati del provvedimento.
      A tale proposito occorre evidenziare l'opportunità di provvedere quanto prima ad un loro tempestivo recepimento, al fine di evitare di incorrere in eventuali procedure di infrazione a livello comunitario.
      Merita poi richiamare l'attenzione su un dato: anche quest'anno, come già per il disegno di legge comunitaria 2006, la relazione governativa al disegno di legge iniziale forniva alcuni elementi circa l'attuazione delle direttive da parte delle regioni, un ulteriore aspetto disciplinato dalla legge n. 11 che meriterà una specifica tematizzazione in sede di indagine conoscitiva.
      Si tratta di dati che devono essere comunicati annualmente (entro il 25 gennaio) al Dipartimento per le politiche comunitarie da parte della Conferenza dei Presidenti delle regioni e delle province autonome. Il disegno di legge comunitaria per il 2007 evidenzia che sono pervenuti i dati delle seguenti regioni: Abruzzo (1 direttiva recepita); Friuli Venezia Giulia (10 direttive recepite); Liguria (1 direttiva recepita); Lombardia (4 direttive recepite); Puglia (1 direttiva recepita); Provincia autonoma di Bolzano (4 direttive recepite); Provincia autonoma di Trento (3 direttive recepite).
      Il nostro sistema deve senz'altro spingere le regioni ad attuare le direttive nelle materie di propria competenza.
      Passando ad una disamina più puntuale dell'articolato, il Capo I riunisce le disposizioni generali sui procedimenti per l'adempimento degli obblighi comunitari che riproducono in larga misura le previsioni recate dalle leggi comunitarie degli anni precedenti e che potrebbero forse opportunamente confluire in una versione «consolidata» della legge n. 11 del 2005, così come ha prospettato lo stesso relatore del provvedimento al Senato.
      L'articolo 1 disciplina il procedimento per la emanazione dei decreti legislativi delegati all'attuazione delle direttive contenute negli allegati A e B. Come di consueto, per le direttive contenute nell'allegato B e per quelle contenute nell'allegato A che recano disposizioni sanzionatorie, è previsto il parere delle competenti Commissioni parlamentari. Ai fini di un più celere adeguamento della normativa italiana agli obblighi imposti in sede comunitaria, il comma 1 prevede che il termine per l'esercizio della delega debba, di norma, coincidere con la scadenza del termine di recepimento della direttiva. Tale soluzione potrebbe ridurre i ritardi fisiologici nel recepimento delle direttive che scadono anteriormente al termine della delega legislativa: ciò appare quanto mai opportuno se si considera l'accelerazione recente della Commissione europea nel dare avvio alle procedure d'infrazione per mancata attuazione, anche dopo solo due settimane dalla scadenza del termine di recepimento. Si tratta quindi di una novità importante, destinata a ripercuotersi positivamente sul numero delle procedure aperte nei confronti dell'Italia.
      Si muove nella stessa direzione la disposizione successiva che prevede, per le direttive il cui termine di recepimento sia già scaduto o scada nei tre mesi successivi alla data di entrata in vigore della legge comunitaria, che il Governo adotti i decreti legislativi di attuazione entro e non oltre novanta giorni dall'entrata in vigore della legge. Viene altresì confermato, dal comma 4, l'obbligo di accompagnare con
 

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la relazione tecnica gli schemi di decreto legislativo comportanti conseguenze finanziarie, già contemplato in via generale dalla legge n. 468 del 1978. Il comma prevede altresì che il Governo, ove non intenda conformarsi alle condizioni formulate al fine di garantire il rispetto dell'articolo 81, quarto comma, della Costituzione, debba sottoporre i testi (corredati delle necessarie informazioni integrative) a un nuovo parere delle Commissioni competenti per i profili finanziari, che si esprimono entro 20 giorni. Viene così introdotto il cosiddetto «doppio parere», limitatamente ai provvedimenti di recepimento delle direttive indicate. Analoga disposizione è prevista con riguardo alle disposizioni recanti sanzioni penali.
      La XIV Commissione ha altresì recepito una condizione contenuta nella relazione della Commissione Bilancio, volta a garantire il rispetto dell'articolo 81, quarto comma della Costituzione: la procedura aggravata connessa ai profili finanziari dovrà comunque essere applicata a tutta una serie di schemi di decreti legislativi in attuazione di direttive specificamente individuate.
      Viene parimenti riproposta la cosiddetta clausola di cedevolezza, di cui all'articolo 11, comma 8, della legge n. 11 del 2005, secondo cui i decreti legislativi di attuazione di direttive, adottati nelle materie riservate alla competenza legislativa delle regioni e delle province autonome, ai sensi del quinto comma dell'articolo 117 della Costituzione, qualora queste ultime non abbiano provveduto ad emanare proprie norme attuative, costituiscono un intervento «suppletivo, anticipato e cedevole», nel senso che entrano in vigore solo alla scadenza del termine per l'attuazione stabilito dalla stessa direttiva e perdono efficacia a decorrere dalla data di entrata in vigore della normativa attuativa regionale o provinciale.
      Con riguardo alle Regioni, occorre ricordare che il disegno di legge comunitaria 2007 non reca più il capo riguardante i princìpi fondamentali della legislazione concorrente, inserito, quale Capo III, nella legge comunitaria per il 2006 in attuazione dell'articolo 9, comma 1, lettera f) della legge n. 11 del 2005. Nel corso dell'esame preliminare in sede di Conferenza Stato-regioni del presente disegno di legge, i rappresentanti regionali avevano infatti sottolineato il problema della definizione dei princìpi fondamentali ai quali devono attenersi le regioni nell'attuazione delle direttive comunitarie in materia di legislazione concorrente regionale.
      Accanto a tale nodo problematico, occorre segnalare che la struttura ed i contenuti del disegno di legge in esame non sembrano ancora rispondere compiutamente a quanto stabilito dall'articolo 9 della legge n. 11 del 2005. Il provvedimento infatti, al pari delle leggi comunitarie degli anni precedenti, non contiene le disposizioni occorrenti per dare esecuzione ai trattati internazionali conclusi nel quadro delle relazioni esterne dell'Unione europea che, nelle materie di competenza legislativa delle regioni e delle province autonome, delegano il Governo ad adottare decreti legislativi recanti sanzioni penali per la violazione delle disposizioni comunitarie recepite dalle regioni, emanate nell'esercizio del potere sostitutivo di cui all'articolo 117, quinto comma, della Costituzione.
      Sono poi previsti: obblighi di informazione al Parlamento da parte del Governo, nel caso di mancato esercizio di deleghe in attuazione dei vincoli comunitari; un obbligo di relazione semestrale dal Governo al Parlamento sullo stato di attuazione da parte di Regioni e province autonome.
      L'articolo 2 detta princìpi e criteri di carattere generale per l'esercizio delle deleghe ai fini dell'attuazione delle direttive comunitarie, in gran parte già contenuti nelle precedenti leggi comunitarie. È stato introdotto, alla lettera c), relativa alle sanzioni, un ulteriore criterio di delega volto a prevedere la riassegnazione delle somme derivanti dalle sanzioni di nuova istituzione alle amministrazioni competenti per la loro irrogazione. Tale disposizione nasce dall'esigenza, più volte rappresentata dalle amministrazioni competenti in sede di attuazione della delega, di poter usufruire degli introiti, sia pure eventuali, delle sanzioni che le medesime sono chiamate ad irrogare. La norma, in ogni caso, riguarda esclusivamente le sanzioni di nuova istituzione che
 

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non risultano, quindi, già acquisite all'erario. Durante l'esame presso l'altro ramo del Parlamento, è stato inoltre introdotto, alla lettera h), un ulteriore principio innovativo, di «attuazione unitaria» delle direttive che riguardino le stesse materie e di quelle che, pur riguardando materie diverse, comportino modifiche degli stessi atti normativi. Tale principio può operare qualora non siano previsti diversi termini di recepimento delle direttive.
      L'articolo 3 conferisce una ormai consueta delega biennale ad adottare sanzioni per la violazione di disposizioni comunitarie, mentre l'articolo 4 riproduce, senza modifiche sostanziali, una disposizione già contenuta nelle precedenti leggi comunitarie in materia di oneri relativi a prestazioni e controlli da eseguire da parte di uffici pubblici in applicazione delle normative comunitarie. Esso prevede la riassegnazione delle entrate derivanti dalle tariffe - determinate ai sensi dell'articolo 9, comma 2, della legge 4 febbraio 2005, n. 11 - alle amministrazioni che effettuano le prestazioni ed i controlli. La Commissione ha valutato anche un'osservazione contenuta nel parere del Comitato per la legislazione, volta a riformulare la disposizione come periodo o comma aggiuntivo alla citata norma della legge n. 11 del 2005, in modo da farle acquisire una valenza generale. Infatti, si tratta di una norma che viene puntualmente riprodotta nelle ultime leggi comunitarie. Tuttavia, si è in fine ritenuto di accogliere l'indicazione del Governo, alla luce delle lievi differenze lessicali riscontrate nelle formulazioni adottate in ciascun anno. Anche questo aspetto potrà comunque essere ulteriormente approfondito nell'ambito dell'indagine conoscitiva sull'attuazione della legge n. 11.
      L'articolo 5 delega il Governo all'emanazione di testi unici o codici di settore delle disposizioni dettate in attuazione delle deleghe conferite dalla presente legge per il recepimento di direttive comunitarie, al fine di coordinare le medesime con le altre norme legislative vigenti nelle stesse materie. In particolare, si fa riferimento ai princìpi ed ai criteri previsti dall'articolo 20 della legge 15 marzo 1997, n. 59, così come modificata, tra le altre, dalla legge 28 novembre 2005 n. 246 (legge di semplificazione per l'anno 2005).
      La previsione di tale delega può sicuramente rappresentare uno strumento utile per operare un'azione periodica di coordinamento e di riordino del sistema normativo nazionale. La novità del presente disegno di legge consiste nella previsione dello strumento dei codici di settore accanto a quello dei testi unici, al fine di operare un assestamento della materia dando luogo, in singole materie, ad un complesso di norme stabili ed armonizzate. A tal fine è stato inoltre eliminato il limite della mera raccolta delle norme esistenti, prevedendo la possibilità di introdurvi anche disposizioni innovative.
      In particolare è stata accolta un'osservazione del Comitato per la legislazione, riferita al comma 2 dell'articolo 5, ove si riaprono i termini di esercizio della delega prevista dall'articolo 8, comma 1, della legge comunitaria 2005 (legge n. 29 del 2006). Poiché non si procedeva alla modifica testuale della relativa norma, la Commissione ha valutato positivamente l'opportunità di riformulare la disposizione in termini di novella.
      Il Capo I si conclude con l'articolo 6 che, nel testo trasmesso dal Senato, introduce delle modifiche alla legge n. 11 del 2005.
      In particolare, introduce alla lettera a) il comma 4-bis all'articolo 2 della legge n. 11 del 2005 secondo cui il CIACE (Comitato interministeriale per gli affari comunitari) può avvalersi, entro un numero massimo di 20 unità, di personale appartenente alla terza area o qualifiche equiparate, in posizione di comando, proveniente da altre amministrazioni, con preferenza per coloro che abbiano lavorato come esperti distaccati per l'Unione europea o presso organismi dell'Unione. Entro il 31 gennaio di ogni anno dovrà essere indicato il limite di queste unità.
      In questo caso, contro le eventuali obiezioni di tipo polemico incentrate sui costi di tali operazioni, merita precisare che la misura introdotta appare assolutamente condivisibile perché mira a rafforzare una struttura essenziale per l'efficacia
 

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funzionale del Dipartimento per le politiche comunitarie, con personale particolarmente qualificato e competente. Di fronte alla crescente «rinazionalizzazione» delle politiche legislative comunitarie ed alla correlata «europeizzazione» di tanti settori della legislazione nazionale occorre avere il coraggio di reagire con riguardo alla formazione di personale specializzato, alla scarsa presenza di funzionari italiani non soltanto nelle istituzioni dell'Unione europea ma anche nella costellazione di organismi, associazioni, reti d'interessi organizzati che opera quotidianamente a Bruxelles.
      È stata accolta una condizione contenuta nel parere della Commissione Bilancio volta a precisare che il limite massimo di disponibilità è dato dalle risorse finanziarie disponibili sul fondo per il funzionamento della Presidenza del Consiglio dei ministri.
      Sul tema del CIACE e del personale specializzato nelle questioni comunitarie potrà essere importante rivalutare le misure previste dall'articolo 19, commi 1 e 2, del testo originario del disegno di legge finanziaria per il 2008, intese a promuovere lo scambio di esperienze tra la pubblica amministrazione italiana e le istituzioni comunitarie, anche nella fase di accesso agli uffici delle stesse, attraverso l'organizzazione di seminari per la formazione specifica in materie comunitarie rivolti a cittadini italiani vincitori di concorsi banditi dalle istituzioni comunitarie, e l'attivazione di tirocini finalizzati all'inserimento di tali vincitori presso le singole istituzioni comunitarie o presso uffici delle pubbliche amministrazioni italiane, anche delle regioni e degli enti locali, preposti alla cura dei rapporti istituzionali con i servizi della Commissione europea e del Consiglio dell'Unione europea.
      Nel corso dell'esame in Commissione è stata inserita una nuova disposizione volta a modificare l'articolo 3, comma 5, della legge n. 11, sì da prevedere termini certi per le comunicazioni del Governo alle Camere circa l'attività del Consiglio dell'Unione europea. Si è quindi previsto che il Governo, prima dello svolgimento delle riunioni del Consiglio europeo, debba riferire alle Camere, illustrando la posizione che intende assumere in quella sede, almeno quindici giorni prima. Si è altresì previsto che il Governo debba, su richiesta delle Camere, riferire ai competenti organi parlamentari prima delle riunioni del Consiglio dei Ministri dell'Unione europea, almeno quindici giorni prima.
      Particolare rilievo assume altresì la lettera c), introdotta nel corso dell'esame in sede referente al Senato, a seguito di una proposta emendativa del relatore, che modifica l'alinea del comma 5 dell'articolo 8 della legge n. 11 del 2005, prevedendo che alcune informazioni, ora contenute nella relazione governativa allegata al disegno di legge comunitaria, vengano inserite in una apposita nota aggiuntiva, aggiornata al 31 dicembre di ogni anno, per accrescere la «leggibilità» del testo normativo. La XIV Commissione ha accolto l'osservazione del Comitato per la legislazione volta a chiarire che il termine di riferimento è il 31 dicembre dell'anno precedente.
      Si tratta, in particolare, dei seguenti elementi informativi: i dati sullo stato di conformità dell'ordinamento interno al diritto comunitario e sullo stato delle eventuali procedure di infrazione con riguardo in particolare, alla giurisprudenza della Corte di giustizia delle Comunità europee relativa alle eventuali inadempienze e violazioni degli obblighi comunitari da parte della Repubblica italiana; l'elenco delle direttive attuate o da attuare in via amministrativa; l'indicazione dell'eventuale omissione dell'inserimento di direttive il cui termine di recepimento sia scaduto o scada nel periodo di riferimento, in relazione ai tempi previsti per l'esercizio della delega legislativa; l'elenco delle direttive attuate con regolamento ai sensi dell'articolo 11 della legge n. 11 del 2005, nonché gli estremi degli eventuali regolamenti d'attuazione già adottati; l'elenco degli atti normativi regionali e delle province autonome attuativi delle direttive comunitarie, anche con riferimento a leggi annuali di recepimento eventualmente approvate dalle regioni e dalle province autonome.
 

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      La lettera d) inserisce il nuovo articolo 11-bis che reca, in via generale, un'autorizzazione permanente al Governo all'attuazione in via regolamentare - ex articolo 17, comma 1, della legge n. 400 del 1988 - delle disposizioni adottate dalla Commissione europea in attuazione di direttive recepite con decreto legislativo. Viene in tale modo recepita un'esigenza già espressa nel corso dell'esame del disegno di legge comunitaria per il 2006 presso la XIV Commissione. La Commissione ha approvato una riformulazione più precisa della disposizione.
      Nel corso dell'esame in Commissione sono state poi introdotte - oltre ad una modificazione dell'articolo 15, con un richiamo espresso all'attività del CIACE quale oggetto della relazione sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea - due disposizioni all'articolo 15-bis della legge n. 11 del 2005, concernenti le informazioni dal Governo al Parlamento su procedure giurisdizionali e di precontenzioso riguardanti l'Italia. La Commissione ha ritenuto di contemperare due esigenze: l'esigenza di una più ampia disponibilità di elementi informativi da parte del Parlamento circa le procedure di infrazione in corso e quella relativa ai limiti dati dalla tutela della riservatezza dei terzi. In questo senso, è stato introdotto l'obbligo per il Governo di trasmettere al Parlamento - unitamente agli elenchi semestrali delle procedure in atto - anche la documentazione intercorsa con la Commissione europea, relativa alle procedure di infrazione in corso, nel rispetto della normativa comunitaria e nazionale relativa alla tutela della riservatezza nonché del segreto professionale e d'ufficio.
      Sempre nella prospettiva di migliorare la fruibilità del testo della legge comunitaria e di esplicitare gli obiettivi di superamento del contenzioso presso le istituzioni comunitarie, il testo approvato dal Senato prevede l'inserimento di un comma 3-bis all'articolo 15-bis della legge n. 11 del 2005, integrandone il dettato con la previsione di un ulteriore obbligo informativo in capo al Governo nei confronti del Parlamento. In forza di tale disposizione, il Governo ha l'obbligo di comunicare al Parlamento tutte le informazioni inerenti gli atti avviati dagli organismi comunitari nei confronti dell'Italia (sentenze della Corte di Giustizia e degli altri organi giurisdizionali, cause sollevate in via pregiudiziale, procedure di infrazione, procedimenti di esame di aiuti di Stato) che siano alla base di disegni di legge, di decreti-legge o di schemi di decreti legislativi presentati in Parlamento.
      La lettera i) inserisce nella legge n. 11 del 2005 un nuovo articolo, il 16-bis, che riproduce il contenuto dei commi da 1213 a 1223 dell'articolo 1 della legge n. 296 del 2006 (legge finanziaria per il 2007), che vengono abrogati. Si tratta di misure concernenti l'adempimento degli obblighi comunitari ed internazionali dello Stato derivanti, in particolare, dalle procedure d'infrazione avviate dalla Commissione europea, dalle sentenze di condanna della Corte di giustizia, dalle sentenze di condanna della Corte europea dei diritti dell'uomo originate dalla violazione della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (e dei relativi Protocolli addizionali). In particolare, il testo del disegno di legge trasmesso dal Senato riproduceva - riportandola nella sede propria della legge n. 11 - la disciplina, già contenuta nella legge finanziaria per il 2007, concernente il diritto di rivalsa dello Stato nei confronti di Regioni o altri enti pubblici responsabili di violazioni del diritto comunitario.
      Nel corso dell'esame in XIV Commissione sono stati recepiti alcuni emendamenti approvati dalla I Commissione, volti a precisare i termini di applicabilità alle Regioni speciali ed alle province autonome di Trento e di Bolzano della disciplina sul diritto di rivalsa da parte dello Stato e sulla procedura relativa agli aiuti di Stato.
      In primo luogo, è stato previsto che, qualora l'obbligato sia un ente territoriale, i decreti ministeriali che fissano la misura degli importi dovuti allo Stato a titolo di rivalsa sono emanati previa intesa sulle modalità di recupero con gli enti obbligati e soprattutto che in caso di mancata intesa provveda il Presidente del Consiglio dei ministri, previa deliberazione del Consiglio
 

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dei Ministri. In tal modo, tra l'altro, potrà prendere parte al Consiglio dei Ministri il Presidente della Regione interessata.
      Dopo un articolato dibattito in Commissione è stato poi deciso di rinviare alla normativa di attuazione statutaria la definizione delle procedure relative al diritto di rivalsa nei confronti di Regioni speciali e province autonome. Per ragioni di continuità ordinamentale è stato peraltro previsto che, fino all'entrata in vigore delle specifiche norme di attuazione, anche a Regioni speciali e province autonome si applichino le disposizioni relative alle regioni ordinarie.
      Analogamente è stata inserita una disposizione sulle procedure da seguire nella dichiarazione preventiva richiesta ai destinatari degli aiuti di Stato, quale condizioni per potersi avvalere degli aiuti medesimi. La disposizione introdotta dalla XIV Commissione stabilisce pertanto che, per gli aiuti di Stato istituiti dalle regioni e dalle province autonome, le modalità per la dichiarazione nonché le procedure di recupero dei medesimi aiuti di Stato individuati quali illegali o incompatibili dalla Commissione europea sono disciplinate nell'esercizio delle competenze legislative ed amministrative ad esse spettanti. Fino all'effettiva adozione di tali disposizioni da parte delle regioni e delle province autonome si applicano le disposizioni di legge statale che riguardano in via generale le procedure sugli aiuti di Stato.
      Il Capo II contiene, come di consueto, le disposizioni particolari di adempimento e i criteri specifici di delega. Si tratta di due tipologie di norme: le prime sono quelle di diretta esecuzione degli obblighi comunitari predisposte per provvedere ad un'attuazione immediata di una direttiva (o di una parte di essa), ovvero per porre fine ad una procedura d'infrazione o per ottemperare ad una sentenza della Corte di giustizia; le seconde sono quelle che recano criteri specifici di delega, ad integrazione di quelli generali di cui all'articolo 2.
      L'articolo 7, in materia di controlli e di frodi alimentari, è stato modificato con una disposizione che, recependo una condizione contenuta nel parere della Commissione bilancio, prevede che il decreto del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali volto ad aggiungere altri settori merceologici oltre all'ortofrutta per i controlli di conformità alle norme di commercializzazione deve essere adottato di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze.
      La modificazione approvata dalla XIV Commissione al comma 6 dell'articolo 8 sulle norme di commercializzazione applicabili alle uova, recepisce un'osservazione presente nel parere del Comitato per la legislazione, che ha rilevato la presenza di richiami a disposizioni comunitarie non più vigenti.
      L'articolo 9, introdotto dal Senato, è volto a modificare due disposizioni della legge comunitaria per il 2006 concernenti rispettivamente le procedure di trasformazione delle olive e l'istituto per gli studi sulla sicurezza ed il centro satellitare dell'Unione europea. L'articolo 10 riguarda la classificazione delle carcasse bovine.
      Particolare rilievo assume l'articolo 11 che modifica all'articolo 150, comma 2, lettera a), della legge 22 aprile 1941, n. 633, come sostituito dall'articolo 8 del decreto legislativo 13 febbraio 2006, n. 118, in materia di protezione del diritto dell'autore di un'opera d'arte e di un manoscritto sulle successive vendite dell'originale.
      La disposizione in esame modifica l'articolo 150, comma 2, lettera a), rendendo più aderente la formulazione della normativa nazionale alla normativa comunitaria di riferimento. La novella è volta, pertanto, a porre rimedio a tale disallineamento normativo, recependo letteralmente quanto previsto sul punto dalla normativa comunitaria.
      L'articolo 12 introduce la definizione di «articoli di puericultura» nel vigente decreto del Presidente della Repubblica n. 904 del 1992. La nozione di articolo di puericultura comprende, ai sensi di tale disposizione, «qualsiasi prodotto destinato a conciliare il sonno, il rilassamento, l'igiene, il nutrimento e il succhiare dei
 

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bambini, ovverosia destinato alla cura delle attività giornaliere dei bambini e le cui parti accessibili possono essere messe in bocca». Merita richiamare la particolare delicatezza della disposizione, finalizzata ad ottemperare alla procedura di infrazione n. 2006/0792 avviata dalla Commissione europea, con relativa lettera di messa in mora, nei confronti del nostro Paese per la mancata attuazione di una specifica direttiva comunitaria. La definizione di tali prodotti, contenuta nel presente articolo, risulta prima facie più estesa rispetto a quella contenuta nella suddetta direttiva.
      L'articolo 13 è stato inserito durante l'esame in sede referente presso la 14a Commissione al Senato; esso novella l'articolo 2449 del codice civile, modificando la disciplina prevista per la nomina delle cariche sociali in società per azioni partecipate dallo Stato o da altri enti pubblici. Il testo vigente è attualmente oggetto di una procedura d'infrazione avviata dalla Commissione europea (procedura n. 2104 del 2006). La modificazione apportata recepisce, anche in questo caso, un'osservazione contenuta nel parere del Comitato per la legislazione per un migliore coordinamento del testo.
      L'articolo 14 conferisce la delega al Governo, da esercitarsi entro diciotto mesi dall'entrata in vigore della legge per apportare le opportune modifiche ed integrazioni al decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 214, con il quale è stata recepita la direttiva 2002/89/CE concernente le misure di protezione contro l'introduzione nella Comunità di organismi nocivi ai vegetali o ai prodotti vegetali e contro la loro diffusione nella Comunità.
      Durante la discussione al Senato si è notato come la relazione illustrativa del Governo si limiti a considerare tale delega «necessaria al fine di un più corretto adeguamento dell'ordinamento nazionale alla normativa comunitaria», senza specificare quali siano gli aspetti della normativa attuativa che andrebbero migliorati e senza proporre principi e criteri di delega. Inoltre l'articolo in questione non precisa le modalità procedurali per l'adozione delle disposizioni legislative integrative e correttive.
      Appare pertanto auspicabile la formulazione di princìpi e di criteri specifici di delega. Dovrebbe altresì risultare chiaro che le disposizioni di cui al comma 1 siano adottate nel rispetto dei principi e criteri direttivi generali di cui all'articolo 2, nonché nel rispetto delle procedure indicate nei commi 2, 3 e 4 dell'articolo 1, previo parere delle competenti Commissioni parlamentari.
      Il comma 2 è stato modificato in ottemperanza al parere della Commissione Bilancio, in modo da prevedere che dall'attuazione dell'articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.
      L'articolo 15 conferisce al Governo una delega di sei mesi per adottare uno o più decreti legislativi recanti norme correttive di numerose disposizioni normative relative alla materia valutaria, alla luce delle norme introdotte dal regolamento (CE) n. 1889/2005, del Parlamento e del Consiglio, del 26 ottobre 2005, relativo ai controlli sul denaro contante in entrata nella Comunità o in uscita dalla stessa. L'articolo prevede anche una delega di diciotto mesi per l'emanazione di disposizioni integrative e correttive dei predetti decreti legislativi. Sono quindi indicati alcuni princìpi e criteri direttivi relativi alle predette deleghe.
      L'articolo 16 contiene la delega al Governo di un anno per l'emanazione di un decreto legislativo per l'attuazione del regolamento (CE) n. 2173/2005, relativo all'istituzione di un sistema di licenze per le importazioni di legname nella Comunità europea, denominato FLEGT (Forest Law Enforcement Governance and Trade). Il citato regolamento si propone di contrastare il fenomeno dell'importazione illegale di legname e prodotti derivati nella Comunità da Paesi terzi. Il regolamento prevede la firma di accordi bilaterali tra l'Unione europea e i singoli Paesi esportatori, a seguito dei quali si introdurrà un sistema di licenze di esportazione tale da assicurare che il legno ottenuto legalmente, in conformità alla legislazione nazionale del Paese produttore,
 

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possa essere introdotto nell'Unione europea. Questa è anche la strada per evitare ricorsi all'Organizzazione mondiale del commercio che prevede, invece, l'eliminazione di qualsiasi ostacolo o barriera alla libera circolazione delle merci.
      L'articolo 17 sostituisce il vigente articolo 2 del decreto legislativo n. 273 del 2003, prorogando al 31 dicembre 2008 il regime temporaneo IVA, instaurato dalla direttiva 77/388/CEE, applicabile ai servizi di radiodiffusione e di televisione e a determinati servizi prestati tramite mezzi elettronici. La Commissione ha modificato la rubrica dell'articolo, accogliendo un'indicazione contenuta nel parere del Comitato per la legislazione.
      L'articolo 18 delega il Governo a modificare la disciplina sanzionatoria per l'indebito conseguimento di misure di sostegno dello sviluppo rurale al fine di applicare i principi di proporzionalità della sanzione in base alla gravità, entità e durata dell'inadempienza, in applicazione del regolamento (CE) n. 1975/2006.
      L'articolo 19, anch'esso introdotto durante l'esame al Senato, sostituisce la lettera d) del comma 1 dell'articolo 7 del decreto legislativo n. 504 del 1995, ampliando la possibilità di dimostrare la regolarità delle operazioni effettuate nella circolazione di prodotti sottoposti ad accisa. In questa ipotesi la novella è determinata dall'esigenza di conformarsi ad una sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee del 12 dicembre 2002, n. C-395/2000.
      L'articolo 20 contiene una delega di sei mesi al Governo, per l'emanazione di un decreto legislativo recante disposizioni integrative e correttive del decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 196, che ha dato attuazione alla direttiva 2002/59/CE relativa all'istituzione di un sistema comunitario di monitoraggio e di informazione sul traffico navale. Le disposizioni correttive si rendono necessarie al fine di rispondere ai rilievi di compatibilità comunitaria sollevati dalla Commissione europea con la lettera di messa in mora del 12 ottobre 2006, nell'ambito della procedura d'infrazione n. 2006/2316.
      L'articolo 21 conferisce al Governo apposita delega legislativa di sei mesi per apportare integrazioni e modifiche al decreto legislativo 25 luglio 2005, n. 151, attuativo delle direttive 2002/95/CE, 2002/96/CE e 2003/108/CE, relative alla riduzione dell'uso di sostanze pericolose nelle apparecchiature elettriche ed elettroniche, nonché allo smaltimento dei rifiuti, al fine di correggere le disposizioni già oggetto della procedura di infrazione n. 2006/4482 del 12 ottobre 2006 e di modificare o abrogare le disposizioni comunque in contrasto con gli obblighi comunitari, nonché per apportare le modifiche necessarie a consentire un più efficace funzionamento dei sistemi collettivi di gestione dei rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche. Si tratta di un tema su cui la XIV Commissione ha richiamato in più occasioni l'attenzione del Governo. L'emendamento approvato nel corso dell'esame è volto a chiarire che le modifiche alla normativa vigente in tema di riduzione dell'uso di sostanze pericolose nelle apparecchiature elettriche ed elettroniche, nonché di smaltimento dei rifiuti devono mirare, in particolare, a favorire la semplificazione delle procedure e l'individuazione di opportuni criteri di rappresentanza dei sistemi collettivi di gestione dei rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche.
      L'articolo 22 delega il Governo a dare organica attuazione alla direttiva 2006/117/EURATOM relativa alla sorveglianza ed al controllo delle spedizioni dei rifiuti radioattivi e di combustibile nucleare esaurito. La norma prevede, altresì, princìpi e criteri specifici per la delega, i quali prevedono: che il recepimento avvenga novellando il decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 230, con il quale è stata trasposta, tra le altre, la direttiva 92/3/EURATOM, abrogata dalla direttiva 2006/117/EURATOM; autonome fattispecie delittuose per le condotte di abbandono e di traffico illecito di rifiuti e di sorgenti radioattive.
      L'articolo 23 dispone il recepimento della direttiva 2006/68/CE del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la
 

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direttiva 77/91/CEE del Consiglio relativamente alla costituzione delle società per azioni nonché alla salvaguardia ed alle modificazioni del capitale sociale.
      L'articolo 24 contiene una delega per l'attuazione della direttiva 2006/43/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 maggio 2006, relativa alle revisioni legali dei conti annuali e dei conti consolidati, che modifica le direttive 78/660/CEE e 83/349/CEE del Consiglio e abroga la direttiva 84/253/CEE del Consiglio.
      La modificazione dell'articolo 24, concernente le revisioni legali dei conti annuali e dei conti consolidati, è volta a prevedere - in ottemperanza al parere della Commissione Bilancio - che dall'attuazione di tale articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri o minori entrate per il bilancio dello Stato.
      L'articolo 25, introdotto nel corso dell'esame presso il Senato, delega il Governo ad emanare, entro diciotto mesi dalla data di entrata in vigore della legge, uno o più decreti legislativi per disciplinare l'esercizio dell'opzione di cui all'articolo 5 del regolamento (CE) n. 1606/2002, estendendo l'obbligo di applicazione dei princìpi contabili internazionali alla redazione del bilancio di esercizio delle imprese di assicurazione. È stata accolta l'osservazione contenuta nel parere del Comitato per la legislazione, volta a stabilire che la modificazione della normativa civilistica di bilancio serve a raggiungere l'adeguamento - e non il semplice avvicinamento - alle disposizioni previste dai princìpi contabili internazionali compatibilmente con le opzioni consentite dalle direttive, assicurando un congruo periodo interinale per l'adeguamento.
      Anche con riferimento a tale articolo è stato previsto - come pure, in modo analogo, per l'articolo 26 - che dalla sua attuazione non devono derivare nuovi o maggiori oneri o minori entrate per il bilancio dello Stato.
      L'articolo 26 delega il Governo ad adottare uno o più decreti legislativi di attuazione del Regolamento (CE) n. 423/2007 concernente restrizioni alle transazioni connesse con beni e tecnologie a duplice uso, suscettibili cioè di impieghi civili e militari, alle forniture di assistenza tecnica o finanziaria, di intermediazione o di investimento relativi agli stessi beni e tecnologie, nei confronti dell'Iran, in quanto utilizzabili nei programmi di sviluppo nucleare e di sistemi di lancio di armi nucleari.
      L'articolo 27, introdotto nel corso dell'esame presso la 14a Commissione del Senato, conferisce, al comma 1, una delega al Governo per la definizione delle modalità di finanziamento dei controlli sanitari ufficiali, di cui al regolamento (CE) n. 882 del 2004. I controlli in oggetto (inerenti ai rischi sia per gli esseri umani sia per gli animali) sono quelli «intesi a verificare la conformità alla normativa in materia di mangimi e di alimenti alle norme sulla salute e sul benessere degli animali».
      Il comma 2 dell'articolo 27 pone una norma transitoria, intesa alla copertura in via immediata - cioè, anche prima dell'entrata in vigore del decreto legislativo - dei costi dei controlli svolti ai sensi della nuova disciplina comunitaria. Il comma specifica che, in tale periodo transitorio, continuano ad applicarsi (per le tipologie di controlli già contemplati nella previgente normativa comunitaria) le tariffe previste dal decreto legislativo n. 432 del 1998 - o quelle eventualmente rideterminate con disposizione regionale -, qualora esse siano superiori ai limiti minimi stabiliti dal regolamento (CE) n. 882/2004.
      Il profilo maggiormente innovativo, rispetto al passato, del disegno di legge comunitaria 2007 è rappresentato dall'introduzione di un Capo III (articoli 28-32) che raccoglie, per la prima volta, le disposizioni occorrenti per dare attuazione, anche mediante il conferimento al Governo di delega legislativa, alle decisioni quadro adottate nell'ambito della cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale (il cosiddetto «terzo pilastro» dell'Unione europea) ai sensi dell'articolo 9, comma 1, lettera c), della legge 4 febbraio 2005, n. 11, fissando i principi generali e i criteri direttivi di delega che, peraltro, in gran parte ripetono quelli del Capo I. È un'innovazione senz'altro positiva.
 

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      Sui contenuti di questo nuovo Capo si è svolta, sia al Senato che presso la Commissione Giustizia della Camera dei deputati, un'intensa ed articolata discussione che testimonia positivamente la centralità che le tematiche del terzo pilastro dell'Unione europea stanno assumendo anche nell'agenda parlamentare nazionale.
      Si tratta, in particolare, di quattro decisioni quadro relative alla lotta contro la corruzione nel settore privato (articolo 29), al riconoscimento ed esecuzione dei provvedimenti di blocco o sequestro probatorio emessi da un altro Stato membro (articolo 30, il cosiddetto «mandato di sequestro europeo»), al ravvicinamento delle normative nazionali in materia di confisca di beni, strumenti e proventi di reato (articolo 31), all'applicazione, anche alle sanzioni pecuniarie, del principio del riconoscimento reciproco (articolo 32).
      In considerazione dell'autonomia e della specificità della materia oggetto della iniziativa, è ovvio che le disposizioni attuative di tali decisioni quadro sono state raggruppate in un capo autonomo, composto di cinque articoli.
      L'articolo 28 conferisce la delega al Governo per l'attuazione degli strumenti sopra indicati e ne prevede il termine di esercizio, stabilito in dodici mesi; disciplina inoltre il procedimento per la formazione dei decreti legislativi, la cui proposta è attribuita al Presidente del Consiglio dei ministri o al Ministro per le politiche europee e al Ministro della giustizia, con il concerto del Ministro degli affari esteri, del Ministro dell'interno, del Ministro dell'economia e delle finanze e delle altre amministrazioni di volta in volta interessate, in relazione all'oggetto della decisione quadro da attuare.
      Stante il carattere sensibile della materia della cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale, il disegno di legge prevede sempre la sottoposizione dello schema di decreto legislativo al parere dei competenti organi parlamentari e l'obbligo, per il Governo, nell'ipotesi in cui non intenda conformarsi a tali pareri, di ritrasmettere i testi alle Camere con le proprie osservazioni e con le eventuali modificazioni.
      Il termine per l'espressione del parere parlamentare è stato portato da 40 a 60 giorni nel corso dell'esame nelle Commissioni.
      L'articolo 29, modificato nel corso dell'esame del provvedimento al Senato, definisce i princìpi ed i criteri direttivi nell'attuazione della decisione quadro 2003/568/GAI del Consiglio, del 22 luglio 2003, relativa alla lotta contro la corruzione nel settore privato, da realizzare assicurando il necessario coordinamento con le altre disposizioni vigenti.
      I princìpi di delega fissano, al comma 1, lettera a), i criteri direttivi per l'introduzione nel libro II, titolo VIII, del codice penale di una fattispecie criminosa la quale punisca con la reclusione da uno a cinque anni la condotta di colui che, nell'ambito di attività professionali, solleciti intenzionalmente o riceva, per sé o per un terzo, direttamente o tramite un intermediario, un indebito vantaggio di qualsiasi natura, oppure accetti la promessa di tale vantaggio. La punibilità, secondo i criteri direttivi, va estesa anche a colui che dà o promette l'utilità di cui alla lettera a).
      Si dettano altresì i princìpi direttivi per la introduzione, fra i reati societari di cui alla sezione III del capo I del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, dell'anzidetta fattispecie criminosa, con la previsione di adeguate sanzioni pecuniarie ed interdittive nei confronti delle persone giuridiche nel cui interesse o vantaggio sia stato commesso il reato.
      I criteri direttivi per l'attuazione della decisione quadro 2003/577/GAI del Consiglio, del 22 luglio 2003, relativa alla esecuzione nell'Unione europea dei provvedimenti di blocco di beni o di sequestro probatorio sono stabiliti dall'articolo 30. Le norme di delega mirano a consentire la esecuzione nel territorio di uno Stato membro del provvedimento di sequestro emesso dall'autorità di altro Stato membro, per finalità probatorie ovvero quando è funzionale alla confisca di beni o anche di documenti che costituiscono prova, quando essi si trovino nel territorio dello Stato di esecuzione.
 

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      Con l'articolo 31 vengono invece definiti i princìpi ed i criteri direttivi per l'attuazione della decisione quadro 2005/212/GAI del Consiglio, del 24 febbraio 2005, relativa alla confisca di beni, strumenti e proventi di reato, secondo, anzitutto, il principio della obbligatorietà della confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato, se appartenenti a uno degli autori del reato, nel caso di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti. In base alla delega occorre poi, in particolare: prevedere la possibilità di disporre la confisca su cose appartenenti a persona diversa dall'autore, soltanto nei casi di agevolazione colposa; prevedere l'applicabilità della confisca nei casi in cui il reato è stato realizzato mediante cose, impianti o macchinari sprovvisti di requisiti di sicurezza richiesti dalla legge, nell'esercizio di attività soggette ad autorizzazioni o controlli dell'autorità amministrativa, soltanto se i suddetti beni siano stati nuovamente utilizzati senza che sia stata data attuazione alle prescrizioni opportune per la messa in sicurezza impartite dall'autorità amministrativa, o comunque alla messa in sicurezza.
      Si prevede altresì di adeguare la disciplina della confisca nei confronti delle persone giuridiche, di cui al decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, e di prevedere che in ogni caso la confisca non pregiudichi i diritti di terzi in buona fede sulle cose che ne sono oggetto.
      Infine, l'articolo 32 detta i criteri direttivi per l'attuazione alla decisione quadro 2005/214/GAI del Consiglio, del 24 febbraio 2005, relativa all'applicazione del principio del reciproco riconoscimento delle sanzioni pecuniarie.
      Fra i princìpi di delega è da ricordare la possibilità per l'autorità italiana competente di rifiutare l'esecuzione, qualora sussistano elementi oggettivi per ritenere che le sanzioni pecuniarie si prefiggono di punire una persona per motivi di sesso, razza, religione, origine etnica, nazionalità, lingua, opinione politica o tendenze sessuali, oppure che la posizione di tale persona possa risultare pregiudicata per uno di tali motivi.
      Circa i dibattiti che ha sollevato e sta sollevando questo capo III, occorre esprimere un particolare apprezzamento per queste discussioni poiché attestano i nuovi, inediti profili che sta assumendo il dibattito sull'integrazione comunitaria nel Paese: la realizzazione e attuazione del terzo pilastro rappresenta infatti la sfida più grande per le classi parlamentari in Italia, perché investe direttamente la cultura dei diritti fondamentali, l'idea di sovranità, la visione della cittadinanza.
      Si tratta di una svolta, rispetto a cui la legge comunitaria è un tassello per un diritto europeo integrato, sfuggendo ai pericoli della parcellizzazione e senza alcuna pretesa assolutistica. È da auspicare che anche le Regioni concorrano ancor più alla prospettiva degli Stati Uniti d'Europa.
      Conclusivamente, occorre sottolineare come risultino tuttora attuali le lezioni di Febvre, che metteva in guardia da due rischi per l'Europa, come idea e come storia del suo progressivo farsi. Il primo rischio è quello di una sua integrazione che si svolga sotto l'egemonia di un solo Stato o di alcune potenze. Il secondo rischio è costituito dal continuo ritorno della frammentazione e dei conflitti locali o su base etno-culturale.

Franca BIMBI, Relatore.

 

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